Le piace il suo lavoro? Quando è il paziente a chiederlo al dottore.

Ti piace il tuo lavoro?

Mi piace il mio lavoro? Quante volte ce lo siamo chiesti?

Forse, tutti i giorni nella nostra mente questa domanda passa veloce come un treno ad alta velocità, lasciando solo stati d’animo e sensazioni contrastanti.

La stessa domanda mi è stata rivolta da un paziente, Fabio.

Fabio qualche giorno fa mi ha inviato questa email.

Buongiorno Dottor Ceschi,

è passato un po’ di tempo, in queste prime settimane dal ritorno dalle vacanze mi sembra di essere stato meglio.

Alti e bassi ci sono, meno forti forse, ma devo riabituarmi al fatto che ci sono sempre stati, senza spaventarmi. Sto pensando di cominciare a ridurre gradualmente la dose di sereupin che ho cominciato a prendere a dicembre dello scorso anno, ne parlerò con il mio medico di base.

Al momento, quindi, ritengo che forse potremmo concludere i nostri incontri. Lo dico un po’ a malincuore, perché mi rendo conto che è proprio quando sto bene che dovrei parlare, conoscermi, capire come fare determinate cose. Ma le letture che sto facendo possono aiutarmi ed è forse anche una sorta di questione di orgoglio personale, devo essere io a decidere di guarire, mi è sempre stato detto, e non ho mai compreso bene fino in fondo il senso di questa affermazione.. quello che posso fare è evitare di fare affidamento sugli altri per la soluzione dei miei problemi. Lei mi ha dato delle buone basi.

La ringrazio quindi per avermi seguito in questi 5 incontri che ci sono stati fra noi, e per la pazienza. Il suo è un mestiere difficile ma affascinante. Il mio invece devo ancora capire se mi piace o meno, se non altro mi piace viaggiare, un po’ meno scartabellare in ufficio.

Ma a lei piace il suo lavoro?

p.s. un cartomante a Ferrara lo scorso weekend mi ha detto che dovrei fare l’attore :-) . Stavo già pensando di iscrivermi ad un corso di recitazione per darmi a qualcosa di più creativo.. riscoprire la mia vena artistica latente. Vediamo se questo riuscirà anche a farmi passare meglio il mio lavoro d’ufficio. Per quanto riguarda XXXXXX, devo riuscire a farmene una ragione. Senza troppo astio distruttivo. Non so ancora bene come, ma per ora sono felice di aver ripreso i rapporti con alcuni nostri amici. Per il resto si vedrà. e se dovessi avere un momento un po’ buio e ansia in cui perdo speranze e fiducia, mi rifarò vivo. 

 

Saluti e grazie!!

Dopo aver risposto a Fabio, mi sono accorto che non avevo risposto all’unica domanda che mi aveva posto; se mi piace il mio lavoro.

Forse ho omesso la risposta considerandola, inconsciamente, la più impegnativa. Sicuramente un bravo ipnoterapeuta troverebbe nell’inconscio la causa della mia dimenticanza involontaria, accusando l’inconscio d’essere uno scansafatiche.

Ti piace il tuo Lavoro?

Partendo dal principio che già cercare un lavoro è un lavoro, possiamo dire che tutti lavorano. Anche chi decide di vivere al di fuori delle regole si considera un lavoratore. Tra le forze dell’ordine si dice che un malavitoso non va mai in vacanza, a differenza di un poliziotto. Un altro esempio sono i bambini. I bambini imparano presto che il loro lavoro è andare a scuola e comportarsi bene. Pertanto, tutti lavoriamo e il lavoro è imprescindibile dalla vita.

Per questo ho chiesto a Fabio se posso pubblicare la sua email (per me piena di spunti su cui riflettere), e di rispondere a lui e a tutte le persone che si fanno questa domanda. Il mio inconscio non sarà felice, ma sono sicuro che si impegnerà per aiutarmi a rispondere a Fabio.

Cosa cerchiamo in una attività che ci impegna un terzo della nostra vita, se non di più?

Forse cerchiamo la felicità o il piacere?

Se spendiamo una vita a cercare piacere dal lavoro, potremmo trovarci con un pugno di mosche in mano dopo tanti sacrifici.

Difficilmente il lavoro piace, per il semplice fatto che lo si deve fare anche quando non si ha voglia di farlo. A differenza, un hobby viene messo in pratica solo se siamo disposti a farlo. Una differenza non di poco!

Il lavoro non deve essere visto come un’attività piacevole, ma come un’attività che ci permette di vivere su questo pianeta. All’uomo non è permesso stare fermo e aspettare che il tempo passi. E’ sempre stato costretto a darsi da fare per vivere. Siamo spinti da vari istinti (pulsioni e forze che non riusciamo a controllare) e l’istinto di sopravvivenza è uno dei più forti.

Siamo qui! e siamo spinti a rimanerci il più a lungo possibile, ma non è permessa l’immobilità. Dobbiamo procacciarci del cibo e un posto sicuro per noi e per i nostri cari e molte altre cose.

Si lo so!

Nel 2014 ci si deve procurare anche uno smartphone o un paio di jeans griffati, ma rimanendo sull’essenziale, riusciamo a fare tutto ciò attraverso il lavoro.

Quindi il lavoro non mi deve piacere, ma mi deve permettere tutto ciò. Il lavoro deve essere solo un mezzo, un tramite per soddisfare i nostri bisogni. Non penso che un cellulare di ultima generazione o un vestito di uno stilista famoso siano bisogni fondamentali da dover soddisfare a tutti i costi.

Allora, cosa mi deve piacere?

Mi deve piacere quello che ho fatto prima d’entrare nel mondo del lavoro.

Quando nasciamo di sicuro non ci mettono subito a lavorare, almeno non nel Nord-Est d’Italia. E’ in questo periodo che impariamo a fare le cose che ci piacciono. Apprendiamo prima a camminare poi a correre. Pian piano, impariamo a parlare e a giocare. Poi c’è la scolarizzazione che inevitabilmente finisce. Momento difficile per molti. Per tutta la vita, che si è vissuta fino ad allora, chi a sedici anni chi a vent’anni, deve trovare o inventarsi un nuovo ruolo e un nuovo modo per rimanere in questo mondo. Costruire delle buone basi (assecondando le proprie attitudini e i propri interessi), dove appoggiarci sopra un’attività che ci permetta di rimanere il più a lungo possibile su questo mondo è il modo migliore per non chiedersi in continuazione se mi piace quello che faccio. Secondo me questo atteggiamento può considerarsi un buon inizio per alzarsi alla mattina con il cuore in pace. Ma ritornando alla domanda di Luca.

Il mio lavoro mi piace?

A volte si e altre no, alcune volte mi pesa e altre volte no. Ma il mio lavoro “vero” che mi impegna 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana, per 365 giorni all’anno è il mio personale e unico percorso di personalizzazione.

La personalizzazione è come il vestito di Arlecchino, fatto di tanti ritagli di stoffa di diversi colori e forme, che durante la vita raccogliamo e con pazienza ci cuciamo addosso. Solo se sceglieremo i colori e le forme che più ci piacciono, non ascoltando troppo i consigli degli altri o quello che va di moda in quel momento, il vestito ci piacerà. Avendo imparato a farlo, siamo anche più sicuri, perché se non ci piace o se si dovesse strappare possiamo sempre cambiarlo o aggiustarlo.

Grazie Fabio